8 maggio 2012

La società della stanchezza

La cosa più interessante di questo pamphlet è la tesi su cui si basa:
Ogni epoca ha la sue malattie. Così, c'è stata un'epoca batterica, finita poi con l'invenzione degli antibiotici. Nonostante l'immensa paura di una pandemia influenzale, oggi non viviamo in un'epoca virale. L'abbiamo superata grazie alla tecnica immunologica. Sul piano delle possibili patologie, il XXI secolo appena cominciato non è caratterizzabile in senso batterico o virale, quanto piuttosto in senso neuronale. Malattie neuronali come la depressione, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), il disturbo borderline di personaliità (BPD) o la sindrome da burnout (BD) connotano il panorama delle patologie tipiche di questo secolo. Non si tratta di infezioni, piuttosto di infarti che non sono causati dalla negatività di ciò che è immunologicamente altro, ma sono determinati da un eccesso di positività. Queste sindromi si sottraggono a qualsiasi tecnica immunologica che miri a respingere la negatività dell'Estraneo. [pgg. 7-8]
Pensando allo sviluppo umano come ad un processo che si evolve in "ere", o "periodi", questa teoria è certamente stimolante. Proviamo a pensare al mondo attuale: un mondo estremamente collegato sia fisicamente (mezzi di trasporto) che idealmente e tecnologicamente (internet, tv, radio, cellulari). Il concetto dell'Estraneo, del lontano, si è radicalmente ridimensionato rispetto a soli quarant'anni fa.

Nonostante gli spauracchi periodici che ci propinano i telegiornali a proposito delle cicliche influenze aviarie o suine che siano, le malattie di questi anni sono la depressione, l'ansia e il cancro. L'individuo non si ammala per una causa esterna, un virus, un "Estraneo", ma per cause interne a sè stesso. La società odierna, di "prestazione", si sussegue a quella precedente "disciplinare": ovvero l'individuo, da essere regolamentato dall'alto al dover fare (impulso negativo all'azione), adesso, nell'epoca dello "Yes we can", è spronato dalla società all'iniziativa e alla motivazione personale (impulso positivo all'azione). Byung-Chul Han spiega questo cambiamento in termini di necessità di aumento produttivo. "L'inconscio sociale passa dal dovere al poter-fare" (pg. 24) In questo quadro sociologico interviene la depressione, che sarebbe un'auto-accusa del soggetto di prestazione frustrato da quest'obbligo di dover realizzare sè stesso in termini produttivi. E' la malattia di un uomo vittima di un'illusoria libertà che fa la guerra a sè stesso.
"Il soggetto di prestazione è libero dall'istanza esterna di dominio, che lo costringerebbe a svolgere un lavoro o semplicemente lo sfrutterebbe. E' lui il signore e sovrano di se stesso. Egli, dunque, non è sottomesso ad alcuno se non a se stesso. In ciò si distingue dal soggetto d'obbedienza. Il venir meno dell'istanza di dominio non conduce, però, alla libertà. Fa sì, semmai, che libertà e costrizione coincidano. Così il soggetto di prestazione si abbandona alla libertà costrittiva o alla libera costrizione volta a massimizzare la prestazione. L'eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all'auto-sfruttamento. Esso è più efficace dello sfruttamento da parte di altri in quanto si accompagna a un sentimento di libertà. Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato. Vittima e carnefice non sono più distinguibili." [pgg. 27-28]
Purtroppo, però, l'autore non approfondisce ulteriormente questa interessante correlazione tracciata tra la storia sociale, la medicina e la biologia. Sarebbe stato interessante, per esempio, trattare della diffusione delle droghe e del cancro. Salta agli occhi l'evidente parallelo con i saggi di Huxley sul Mondo Nuovo, ovvero come la libertà illusoria possa essere molto più producente del divieto e dell'obbligo. Solo che Huxley si dilunga sulle forme di controllo occulte volte a formare questa libertà pretestuosa, mentre  Byung-Chul Han salta completamente l'argomento. Interessante sarebbe stato anche fare riferimento al terrorismo (altra forma di distruzione "dall'interno"). Insomma, sono tanti gli aspetti che avrebbero dato credito a questa teorizzazione, ma purtroppo l'autore non li approfondisce, rendendo la trattazione piuttosto incompleta e scarsamente descrittiva della società d'oggi.
Byung-Chul Han passa poi a trattare delle conseguenze di un uomo orientato all'iper-lavoro, ovvero il multitasking, la scarsità d'attenzione e la mancanza di capacità contemplativa. Tutte queste cose però sono ripetizioni di altre teorie: penso soprattutto a Jung che in Tipi psicologici nel tracciare le differenze fra i due principali tipi introverso/estroverso, sottolinea come la società odierna premi maggiormente l'estroversione, e di come l'individuo sia altamente funzionalizzato, ovvero di tutte le sue funzioni solo alcune vengono sviluppate, quelle più utili alla società e all'inserimento funzionale dell'individuo nella stessa, mentre le altre rimangono ad uno stadio quasi primitivo. Essendo una società estroversa, le funzioni secondarie, non svilluppate, sono più spesso quelle inerenti all'introversione, come appunto una capacità di pensiero più profonda e astratta e, quindi, la capacità contemplativa. Lo sviluppo personale di queste capacità latenti porterebbe, secondo Jung, a una ristabilizzazione della libido eccessiva accumulata per l'elevata "funzionalizzazione". Discorso che naturalmente si ricollega a molte discipline orientali e al concetto buddhista del distacco come superamento degli opposti. Niente di nuovo, quindi, nella conclusione di Byung-Chul Han  che ipotizza la necessità di esperienze puramente immanenti (capacità contemplativa, occhio spirituale)  come opposizione alla frenesia sterile dell'uomo di prestazione.
Da qui in poi l'autore si lancia in una serie di critiche a diversi scritti, da Vita activa di Hannah Arendt a Bartleby lo scrivano di Melville, senza realmente aggiungere nient'altro alla sua teorizzazione.
Per assurdo un saggio sul'eccesso di positività pecca proprio di eccessiva negatività indugiando sulla critica e moderandosi nell'esposizione della teoria vera e propria.
Il finale preconizzante la società della stanchezza mi sembra poco probabile e completamente alieno all'attuale panorama sociale.
"La società della stanchezza" Byung-Chul Han, trad. Federica Buongiorno, edizioni nottetempo

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